«Se oggi mi chiedo quale fu il vero movente che mi ha portato in autunno dal Canton Ticino a Norimberga un viaggio durato due mesi mi coglie limbarazzo» scrive Hermann Hesse allinizio di questo libro di memorie. Nel 1925 aveva deciso infatti di lasciare il suo eremo in Svizzera e di accogliere linvito a tenere una serie di pubbliche letture in Germania: proprio lui che riconosceva di essere «un uomo restio ai viaggi e alle frequentazioni umane», lui che trovava la prospettiva di esibirsi in pubblico «talvolta spaventosa». Non era daltro canto un momento qualsiasi: «... la vita mi costava uninsolita, eccessiva fatica, e ogni idea di cambiamento, trasformazione, fuga non poteva che essermi gradita». Una fuga, però, da indugiante, meditabondo flâneur, fatta di soste prolungate e deviazioni e incontri con vecchi amici, che lo conduce da Locarno a Zurigo, da Baden alla natia Svevia, da Ulma ad Augusta e a Norimberga, per terminare infine a Monaco, con la visita a Thomas Mann. Un viaggio, «in sé insignificante e fortuito», che diventa una discesa nel passato e nella propria coscienza, e si traduce in unintensa confessione intima, dove Hesse ci parla dei suoi amori letterari primo fra tutti Hölderlin, fatale scoperta infantile e dellavversione per il mondo moderno; dellinsofferenza per «la fabbrica culturale» («nessuno è più vanitoso, nessuno più assetato di plauso e consenso dellintellettuale») e del penoso fardello della fama e, quale antidoto alla disperazione, dellumorismo, «ponte sospeso sopra il baratro tra realtà e ideale».